Di solito il Gorilla Position si propone di parlare di strutture creative. Quest’oggi, in virtù della news riguardante gli ultimi licenziamenti in casa WWE, mi frulla tra le meningi solo il pensiero che vi sia un enorme spreco di talenti, legato proprio a carenze macroscopiche di scrittura. E mi fa specie pensare che le vite (lavorative e non) di questi individui siano legati alle lune del booking team o di chi mangia cappuccio e cornetto nella stanza dei bottoni.
Veniamo ai fatti, prima di tutto. Fanno le valigie e svuotano i loro armadietti Aleister Black, (Buddy) Murphy, Santana Garrett, Lana, Ruby Riott. E Braun Strowman. Lascio volutamente per ultimo il Monster Among Men perché è il nome che fa più scalpore, perché è un ex campione mondiale, perché ha lottato giusto l’altro ieri nel main event di Wrestlemania Backlash contro Lashley e McIntyre. Ma soprattutto perché è un dannatissimo talento, almeno a parere di chi vi scrive. Parliamo di un big man che ha più carisma di altri, che sul ring non sfigura affatto, che è dotato di una discreta mobilità , che al microfono è vagamente credibile pur senza eccellere. Ce lo siamo ritrovato imprigionato in una macchietta creativa, vien quasi ridicolo definirla scrittura. Tag team con bambini delle elementari, storyline a tema bullismo in cui lui viene definito “scemo”, performance sul ring ridotte allo Strowman Express.
Potremmo dire lo stesso di Murphy, atleta ottimo davvero, finisher d’impatto, autore di una serie di match di gran livello. E poi. Quel baratro narrativo, il feud tra il Messiah Rollins e Rey Mysterio, la storia d’amore con Aalyah, ridicola sul nascere, penosa nello svolgimento, obliata senza nemmeno una spiegazione. Non che ce ne fosse bisogno, ma sai mai che almeno i titoli di coda potessero essere sensati. Aleister Black, fenomeno a NXT, capace di navigare costantemente sul 4.5 circa nella scala Meltzer. Divenuto carta straccia nel main roster. Come tanti, come troppi. Non mi dilungo sul trattamento criminoso riservato a Ruby Riott, nemmeno su quello altrettanto discutibile che è toccato in sorte a Lana. D’altronde, un feud con un tavolo… Vabeh.
La costante in tutto questo è che nella messa in scena di un personaggio si continua ad ignorare la natura del personaggio stesso, il talento del performer. Chi va sul ring non è un dannatissimo fantoccio, ma un essere umano, dotato di capacità , abilità , peculiarità . Spersonalizzarlo è il fallimento della scrittura, è un crimine, una tortura. Sia per chi interpreta sia per chi guarda, perché il risultato è sotto gli occhi di tutti. Una buona narrazione prende per mano il talento e lo accompagna a produrre dividendi. Ma mai e poi mai la storia deve essere più importante dei protagonisti, perché sono loro a parlare. Sono loro a raccontarla.
Il talento vince le partite, fonte Michael Jordan, ma è con lavoro di squadra e intelligenza che si vincono i titoli. Traducendo il tutto tra le corde di un ring, il talento può illuminare e incantare con le sue performance, ma a creare la magia è tutto l’insieme, tra storia, avversario, produzione, tipologia di incontro e via dicendo. Esempi recenti sono sotto gli occhi di tutti, Daniel Bryan e Roman Reigns, per motivi diametralmente opposti. Un’attitude da underdog valorizzata e portata al massimo acme possibile nel palcoscenico più importante che esista al mondo per il primo. Una storyline da heel vero e puro in grado anche di mascherare le ancora evidenti lacune che caratterizzano il secondo.
Uno sforzo creativo che in entrambi i casi ha dato degli ottimi risultati, rendendo imperitura la memoria di quella rincorsa titolata per Bryan e, nel caso di Reigns, conferendo week after week la palma di miglior show settimanale a SmackDown. Non sempre c’è posto per tutti, chiaramente, non sempre si riesce a creare un prodotto fatto e finito in tutte le sue componenti. Insomma, si può sbagliare, si può fallire. Ciò che non perdono alla WWE è la miopia nei confronti di talenti che sono spaventosamente evidenti. I booker non hanno idee su come gestire questo personaggio. Non è una frase accettabile, se si parla di qualcuno che il tuo show lo può dominare. Potremmo snocciolare nomi all’infinito, la cosa offensiva verso il pubblico ma anche e soprattutto verso i propri stessi wrestler è la pigrizia creativa per cui non ci si discosta da un canovaccio sempre uguale.
Anche perché un booking sbagliato rischia di condizionare l’intera carriera di un performer. Rischia di chiudergli porte, di precludergli possibilità di avanzamento nella card. E far cambiare idea al pubblico, una volta che si è consolidata, è davvero complicato. Parlando di prospettive, difficile credere che in casa AEW non si colga la palla al balzo. Portare Strowman e Black sarebbe sicuramente un valore aggiunto, sia per la compagnia, sia per loro, a maggior ragione in vista della partenza di Rampage. Il nuovo show per cui Tony Khan ha speso parole importanti e per cui è già stato dato in pasto al pubblico un veterano come Mark Henry.
Nemmeno in quel di Jacksonville è tutto rose e fiori. Tuttavia, se in WWE, creativamente parlando, assistiamo di settimana in settimana a un Titanic che si schianta contro un iceberg (con l’eccezione Reigns, diciamo), in AEW l’intenzione di valorizzare ogni parte dello show è palese. A volte sovraesposta, a volte non nel modo più adeguato, ma il tentativo di costruire qualcosa è sotto gli occhi di tutti. Nel mettere le leggende a fare da chiocce ai giovani talenti, nel dare spazio e temi anche al midcard (a volte esagerando), nel prendere tutto il tempo necessario per far dipanare le proprie trame, lasciando fare comedy solo e unicamente a chi ne è in grado, per status ed esperienza, senza finirne imprigionato. Certo, poi c’è Cody.
Anche per questo mese è tutto, arrivederci alla prossima edizione del Gorilla Position!