Come l’anno scorso, anche a sto giro voglio usare il Gorilla per condividere con voi ciò che WrestleMania 39 mi ha lasciato. In particolar modo con il suo main event, ma non solo. Innanzitutto, a livello generale, pur con una costruzione ampiamente deficitaria, l’evento in sé è stato tutto sommato godibile. Nonostante una scrittura bipolare per cui la Night 1 ha significato tanto, se non tantissimo. E la Night 2 invece non ha significato alcunché. Sotto diversi punti di vista. Diciamo che è parso di assistere quasi a due show diversi.
NIGHT 1: IL PUNTO ALLA FINE DELLA FRASE
A me i punti piacciono. Tantissimo. Li uso sempre, continuamente, alla fine di ogni frase, anche su WhatsApp o qualsiasi altro strumento di messaggistica istantanea. Vuoi mettere un “cretino” come suona più carismatico con il punto alla fine? “cretino.”. Carisma. Ma tornando a bomba, quello che WrestleMania di solito dovrebbe rappresentare è proprio questo. Un punto, meglio se esclamativo, alla fine di periodi più o meno lunghi che si sublimano nella conclusione nel palcoscenico più importante di tutti. E in questo senso, la Night 1 mi ha fatto riassaporare un po’ quel sapore da grande evento.
Le mie aspettative per WM erano molto scarse, onestamente parlando. Non si poteva non essere interessati a Cody vs Reigns anche solo per vedere quale “meraviglia” si sarebbero inventati. Owens e Zayn creavano già da soli appeal, ma non dimentichiamo quanto di buono anche gli Usos hanno fatto in questo feud. Pur con il sapore del contentino, per tutti i partecipanti, piaccia o meno alla platea. Il resto era roba messa a caso o preparata su tematiche irrilevanti o superficialmente approfondite. Tuttavia, la Night 1 è stata a tutti gli effetti una WrestleMania. Come non se ne vedevano da un po’.
Due match in particolare, quello tra Rhea Ripley e Charlotte Flair e, ovviamente, il tag team match. Partendo da quest’ultimo, chiunque voglia capire cos’è il wrestling dovrebbe guardarlo. Narrazione in ring unità con azione, una trama ben precisa in continuità con il racconto del feud e con la psicologia delle parti in causa. Due amici che si riuniscono in tag dopo tanto tempo, che ci mettono un po’ a carburare, ma la cui tenacia è innervata da un fine ultimo che i campioni non hanno. Gli Usos puntano a mantenere lo status quo, Zayn e Owens a sovvertirlo, chiudendo un cerchio che li ha visti subire in singolo ma riaffermarsi come coppia. Ed è stato un match fantastico, secondo solo, per quanto mi riguarda, a Omega vs Ospreay in questo 2023 so far.
Anche Rhea e Charlotte non si sono risparmiate, encomiabili a maggior ragione per non avere alle loro spalle un architrave narrativo che potesse sorreggerle. Le due hanno semplicemente dato fondo al loro repertorio, combattendo un match molto bello e molto ricco. Si poteva fare meglio? Sicuramente con una storia adeguata, questo match poteva diventare un classico. Mancava un po’ quel sapore da grande evento di cui parlavo sopra perché la frase cui mettere il punto finale era un po’ meh. Però vincitrice giusta, svolgimento giusto, un WrestleMania moment a tutti gli effetti, meritatissimo per Rhea Ripley.
Anche il contorno non ha disatteso le aspettative, eccezion fatta per Cena vs Theory che è stato scialbo, piatto e, come anticipato dallo stesso Doctor of Thuganomics, privo di implicazioni future per il vincitore. Tale era, tale è rimasto, nessun passo avanti. Proprio perché spesso si cercano motivazioni negli avversari, ma se traballa la costruzione del personaggio stesso, prima ancora di guardare fuori, bisognerebbe lavorare meglio dentro. Però, a parte questo, vincitori giusti, match giusti, persino svolgimenti al di sopra di ogni aspettativa (la macedonia showcase che non serviva a nulla, in realtà è stato un piacevole intermezzo).
NIGHT 2: TUTTO IL CONTRARIO
Tutto ciò che invece non abbiamo visto nella notte bis. Cominciata con Brock Lesnar che ha fatto quello che nessuno si sarebbe mai aspettato. Ovvero ricreare l’ennesimo Hulk Hogan moment basato su una power move a caso da eseguire su un gigantesco individuo a caso. F5, tutti a casa, o meglio, Brock a casa. Perché si sa, se non è nel main event, a lui piace guardare il resto dal sofà del Saskatchewan. Solide basi, peraltro, su cui poggiare il susseguente feud con Cody in quel di RAW, ma preferisco non aprire nemmeno questa parentesi.
La notte 2 è stata una delusione continua, con l’unica mosca bianca del Triple Threat per l’IC Title che è stato una gioia per gli occhi. Il resto, narrativamente, ma anche al lato pratico, è qualcosa di dimenticabile o di poco piacevole. Il regno di Bianca Belair, per esempio, sta soffrendo delle stesse difficoltà del primo. Lei overpushata, ma che senza un racconto vero e proprio (il feud con Asuka era non esistente) o senza qualcuno che possa condurla palesa ancora oggi delle enormi lacune. I suoi match sono tutti uguali, poco comunicativi, una recita sciatta di uno script predefinito.
Con Bianca Belair hai sempre la sensazione che sia tutto preparato e non c’è mai un momento emozionale in cui realmente riesci a empatizzare con lei. Semplicemente perché non comunica niente, lei fa. E si vede, quando pensa a cosa fare dopo, quando si prepara in posizione per subire una mossa. Che poi la riuscita del match sia stata in ogni caso sufficiente è un altro paio di maniche, ma fossi la WWE farei tante riflessioni sia su come l’hanno sin qui proposta, sia su come fare per farla progredire.
Ma veniamo al pomo della discordia: Cody Rhodes vs Roman Reigns. Ora, la WWE è riuscita nell’impresa titanica di rendere odiosa qualsiasi conclusione di questo match. Si sono ficcati in un cul de sac narrativo, di cui evidentemente si sono resi conto anche loro. O che sin dal principio era evidente, per quanto ai più piacesse nascondere la polvere sotto al tappeto. Cody non era il vincitore giusto per questo match, non era questo il suo momento per il #finishthestory. Quello che andavamo ripetendo da mesi, tra TWDS ed editoriali vari, questo incluso, si è poi verificato: Rhodes era l’intruso in una storia che si basava su altri. E come tale, ha perso, proprio perché la sua redemption non era mai stata costruita.
Torna, peraltro da un’altra federazione (e sappiamo quanto la WWE ami pushare gente che viene da fuori), peraltro senza poter mai nemmeno dire di esserne stato il campione. Dopo aver a più riprese lanciato frecciatine a Triple H e la WWE. Torna e ha tutto facile, vince 3-0 contro Rollins, anche con un braccio solo. Poi sta via un semestre e alla successiva sessione d’esame, chiamata Royal Rumble, viene annunciato, entra alla 30, affronta uno che è dentro da una settantina di minuti e vince. WrestleMania, finish the story, nessuno scontro con il campione dei campioni e pure lo scalpo di Solo Sikoa (per quel che vale) a una manciata di giri di lancette da WM.
Troppo, veramente troppo ingiustificato per poter dire che questo è un face che deve finire la sua storia. Senza contare che finirla in sei match voleva dire azzerare il personaggio di Cody e doverlo ricostruire da capo. Scelta giusta, secondo me, quella di far vincere Reigns, quindi. Le modalità però sono assolutamente discutibili. Il match è stato brutto, 6 mosse in croce in 30 minuti caratterizzati sempre e solo da interferenze di ogni tipo. Ammetto, dopo l’arrivo di Owens e Zayn ho pensato ecco, adesso Cody vince. Allo stesso tempo ho odiato il fatto che Reigns stesse vincendo. Perché non se ne può più e non se ne può più così, soprattutto. L’ho seguito con interesse, partecipazione, anche intensità mia perché io volevo realmente capire e vedere come sarebbe finita la storia.
Ed è finita così come è sempre stata raccontata: in modo patetico, banale e privo di qualsiasi idea che ne elevasse sia le tematiche (scissione Bloodline, frizioni Usos vs Reigns, lo stesso riscatto di Owens e Zayn, il re rimasto solo, il finish the story di Cody…), sia i partecipanti. Non c’è stato un solo momento del match in cui si sia dato importanza a qualcosa. E siamo arrivati al solito canovaccio, già visto con Owens, già visto con McIntyre, già visto con chiunque, in questi quasi mille giorni di regno.
Insomma, per me una WrestleMania dai due volti, capace di entusiasmare e di deludere nello spazio di 24 ore. Cosa abbia più peso, forse, ce lo stanno già dicendo gli show settimanali post WrestleMania, con l’ombra di Vince McMahon che si palesa in sottofondo. Proprio lì, in quel Gorilla Position che dà il nome all’editoriale che porta la mia firma.