La Parola al Maestro: Come John Cena e mio padre riuscirono a farmi capire il senso della vita

John Cena

Quella che sto per raccontare è una storia molto personale, legata ad un periodo della mia vita che mi piace definire “di transizione”.


Era il 2004 e da poco avevo perso il posto di lavoro. Certamente, preoccuparsi per i soldi a 24 anni è una questione che fa ridere, ora che ne ho ben 20 di più riesco a comprenderlo con maggior cognizione di causa. Ma ero ancora un ragazzo, i soldi non mi servivano per mutui, rate o per il Brufen da acquistare quando alzo un tavolo troppo pesante e rimango bloccato con la schiena (da quest’ultima frase si comprende molto bene il livello di atleticità del Vostro Buon Vecchio Maestro Zamo). Quello stipendio tanto agognato il 10 del mese mi serviva per acquistare gli ultimi dvd della Silver Vision, le riviste specializzate di pro wrestling americano e tutti gli altri diecimila interessi che avevo.

“Ci siamo noi, stai tranquillo” mi diceva il babbo, ma per me non era la stessa cosa, le cose acquistate con i propri soldi hanno un sapore di vittoria, di piccola emancipazione, che in quel periodo era davvero una cosa estremamente di valore per me.

La notizia che di lì a poco avrei perso il lavoro calò quindi come una mannaia sui miei sogni di continuare ad incrementare la mia già notevole collezione e come se non bastasse non potevo permettermi di buttare via gli ultimi spicci per un evento che sapevo sarebbe stato di notevole importanza per il movimento del wrestling italiano, ovvero l’arrivo di John Cena al Mondadori Multicenter di Milano.

Beh, in realtà non è che fosse proprio una spesa eccessiva, alla fine si trattava di prendere un treno, mangiare un panino con gli amici e godermi l’intervento del “Doctor of Thuganomics”, ma chissà perché, dal momento della notizia, mi sentii come se il mondo fosse crollato, come se non valessi nulla e non mi dovessi nemmeno meritare quel piccolo, ma per me importante, viaggio.

So che a molti di voi sembrerà una stupidaggine, lo sembra anche a me adesso che ci penso, ma ero estremamente orgoglioso (ehi, chi ha detto lo sei ancora?) e sentivo che quel fallimento mi aveva tolto il merito di quella mattinata in centro a Milano.

Fu mio padre che mi spronò a lasciar perdere. Il mio splendido babbo (come diciamo noi in Toscana) è stato sempre un punto fondamentale della mia vita, e nel mio personale viaggio nel mondo del wrestling lo ritroverete spesso nei miei racconti, insieme al resto della mia famiglia, a cui sono molto legato e che non mi ha mai abbandonato, giudicato o deriso per questa mia passione del tutto inusuale. Mi disse che non dovevo pensare al futuro, dal momento che la vita che avevo davanti era ancora molto lunga, e che avrei avuto tutte le mie soddisfazioni.

Forte delle sue parole mi sentii con i miei compagni di viaggio e, destinazione Milano, mi diressi alla volta del Mondadori Multicenter. Se non erro era il 9 Maggio del 2004, una data fondamentale per comprendere il successo del wrestling in Italia in quel periodo.

John Cena in quegli anni, specialmente da noi, era veramente il non plus ultra. In quel momento aveva da poco sconfitto Big Show per il titolo United States a Wrestlemania XX e l’idea che un campione così importante sarebbe arrivato in Italia, munito della sua spinner belt, era qualcosa di estremamente incredibile. Per darvi una idea del successo che ebbe quella sessione di autografi e domande, tenete conto che all’ingresso della biblioteca c’era già una fila immensa già moltissime ore prima dell’orario in cui si sarebbe presentato Mr. Look My Face (ops, scusate, Mr. You Can See Me). Il personale impiegato cominciò a sudare freddo, di fatto ragazzi di ogni età, sesso e provenienza, si stavano ammassando come i fiabeschi lemmings del pifferaio di Hamelin (se solo il pifferaio avesse avuto una catena al collo e un tirapugni con scritto “Word Life” al posto del suo innocuo strumento musicale).

Certo, forse era meglio se il sottoscritto non si fosse divertito ad urlare ogni tre per due “ECCOLO! ECCOLO!” solo per il gusto di vedere la gente muoversi come mandrie assetate di sangue e fare posto per avanzare nella fila (ero giovane, cercate di capirmi), sta di fatto che grazie anche all’aiuto di una simpatica hostess riuscimmo ad essere tra quei pochi fortunati a vedere dal vivo il campione, John Cena.

In quegli anni John Cena era veramente immenso, una massa di muscoli in ogni dove, con quella possanza iconica che lo renderà famoso negli anni successivi. Una presenza veramente notevole.

Nel corso dell’intervista riuscii anche a chiedere cosa pensasse di Ron “The Truth” Killings, che lo aveva sfidato ad una gara di rap freestyle. Lui non si scompose, ed anzi accettò la sua sfida e quella di qualsiasi aspirante rapper italiano fosse presente in sala. Ovviamente mi ritirai dietro al mio cappellino di Warrior e feci lo gnorri.

Alla fine della sessione di autografi Cena cominciò a parlare uno ad uno con ogni persona nella sala, firmando via via autografi e facendosi foto con chiunque. Quando venne il mio turno, con non poca emozione, strinsi la mano al campione United States (io strinsi la mano, lui me la chiuse in una morsa degna del Dr. No del primo film di 007), e gli dissi “John, you are the best”.

Lui, in inglese, mi rispose così:

“No, amico, tu sei il meglio. Tu e tutti i tuoi amici, le persone che sono venute qui oggi. Perché senza di voi noi non siamo nessuno, voi fan siete la nostra forza”

E chi ero io per contraddire John Cena?

Me ne andai con il sorriso sulla bocca (meno il personale della libreria, che si trovò il negozio devastato come in uno dei peggiori film sull’olocausto nucleare) e me ne tornai a casa.

Mi ero portato con me un suo poster, da regalare alla mia piccola nipotina Elisa. Era ancora troppo piccola per parlare correttamente, ma cercavo di corromperla già all’epoca e di farla innamorare al wrestling (spoiler: non ci sono minimamente riuscito, rimanendo sconfitto al contro di tre da millemila band coreane e dallo stramaledetto iPhone). Fu in quella occasione che la mia Elisa vide il poster e urlando disse “I CALZINI!” ovvero la sua personale versione di “You Can See Me”, perché era così che conosceva John Cena.

In quella occasione capii il senso di non arrendersi alle avversità della vita, che anche io valevo, che un lavoro non mi avrebbe incasellato come persona, perché io ero unico. Me l’avevo detto anche John Cena.

Anni dopo, John Cena cominciò la sua lunga ascesa nell’olimpo del wrestling, ed io incrementai quella nel wrestling italiano (fino al 2009, anno in cui tacitamente mi sono ritirato dal wrestling web e dalla scena del pro wrestling italiano).

Nel 2006, in uno degli show a cui tengo di più, quel ragazzo che aveva paura perdendo il lavoro di non avere futuro, si trovò al centro del ring, a fare interviste in lingua inglese a wrestler mastodontici. Non scorderò mai le parole di mio padre al termine dello show:

“ Tu sei così? Sei quella persona che entra sul ring, parla al microfono, si rivolge al pubblico e lo incita? E allora come fai a perderti d’animo? Non permettere mai a te stesso di dimenticare chi sei”

Mio padre non c’è più da due anni, ma le sue parole sono eterne, vivono con me, ed a lui ho dedicato questa mia nuova avventura nel mondo del wrestling, perché possa vedere, dovunque si trovi in questo momento, che non ho permesso di dimenticarmi chi sono.

Come voleva lui.

Il Vostro Sempre (poco) Umile Maestro Zamo

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Scritto da Francesco 'Maestro Zamo' Zamori
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